meta-terapia di se stessi (cosiddetta)

La terapeuta della persona depressa evitava sempre accuratamente di dare l’impressione di giudicare o biasimare la persona depressa per il fatto di aggrapparsi alle proprie difese, o di lasciare intendere che la persona depressa avesse in alcun modo consciemente scelto o scelto di aggrapparsi a una depressione cronica tale da rendere ogni sua (cioè della persona depressa) ora di veglia così angosciosa da risultare intollerabile per chiunque. Tale rinuncia a esprimere giudizi o a imporre valori era considerata dalla scuola terapeutica in cui la terapeuta aveva elaborato la sua filosofia della guarigione nel corso di quindici anni di esperienza clinica come integrante alla combinazione di sostegno incondizionato e onestà assoluta riguardo ai sentimenti che costituivano l’incoraggiamento professionale necessario a un viaggio terapeutico produttivo verso l’autenticità e la pienezza interpersonale. Le difese contro l’intimità, sosteneva la teoria esperienziale della terapeuta della poersona depressa, erano quasi sempre meccanismi di sopravvivenza bloccati o residuali; cioè, per un certo periodo, l’ambiente li aveva resi opportuni e necessari e molto probabilmente erano serviti a proteggere la psiche infantile indifesa da traumi potenzialmente insostenibili, ma nella quasi totalità dai casi questi (cioè i meccanismi di difensivi) si erano inopportunamente impressi e bloccati e ora (nell’età adulta) l’ambiente non li rendeva più opportuni, anzi, paradossalmente, ora in realtà provocavano più traumi e sofferenza di quanti ne impedissero…(segue)

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